lunedì 10 febbraio 2014

Come un vecchio flipper



KING            kong
 sulle (S)palle
Già, l’ospizio!


di Matteo Tassinari
Senza una   lira   mi aggiravo per la città alla ricerca di pecunia. Solito ménage. Le ore passavano senza roba, lentissime, e dovunque andassi a grattare, fabbriche, palestre, cliniche private, bar, centri sociali, asili, teatri, spogliatoi, non riuscivo a raggranellare neppure i soldi per comprarmi un paio di grammi. Arrivai a sera e con essa aumentarono i morsi dell’astinenza allo stomaco e non mangiavo da circa sette ore a causa dei crampi che mi procurava l'astinenza all’altezza dello sterno. Col mio Mister College, un motorino a quattro marce, andavo a zonzo in cerca dello spunto, dell'idea malsana ma che calmasse quella buriana per raggranellare un pò di soldi e comprare un pò di roba, mentre mi resi conto di fiancheggiare l’ospizio nei pressi di Porta Schiavonia. Già, l’ospizio. Erano circa le nove di sera. Non feci in tempo a pensare a niente, ch'ero già dentro. Mi diressi verso il bar, che a quell’ora di sera era chiuso.
L'eroina è la droga precisa di chi speranze non ne ha 










     Sangue      bo llente
vecchietti    ricoverati stavano guardando una puntata di “Fantastico”, per cui, presumo, fosse un sabato sera. Ricordo, fa sempre bene alla salute di tutti, che queste faccende avvennero nel 1981 e in ogni caso i miei debiti con la giustizia li ho pagati tutti, interessi compresi. Comunque spaccai il lucchetto e il rumore nel silenzio di un ospizio aumentò la quantità di adrenalina che circolava massiccia nel mio impianto generale per la paura, per l'illegalità e le conseguenze che si sarebbero attivate se mi avessero scoperto, ma soprattutto per la scimmia che mi ballava sulle spalle e che ormai era un bell'Orango, per poi artefarsi in King kong. Sudori disseminati in tutto il corpo, nausea, brividi, freddo, dolori articolari, la testa come fosse in una morsa e ad ogni ora che passava la mordacchia della morsa era sempre più serrata all'altezza delle tempie.
Philip Seymour Hoffman
Mi tagliai nel collo
e mi sfregiai il braccio. Sfregiato, ma con le vene che pompavano verità, sangue d’astinenza, quello che non da tregua fino a quando non metti in circolo un po’ d'eroina che, gradassa, riordini alla maniera dei tossici la schermata della propria vita senza troppe storie. I fraintendimenti non sono fatti per i tox,  se lo sono, è per fare un bidone o pacco. In quel caso le cose cambiavano.



La sospensione aerea
Con lei, tutto era sospeso, tutto si pianificava in un modo o nell'altro, anche con la morte. Spaccai la cassa con tre mani, rovesciai due cestelli da ghiaccio pieni di pezzi in moneta, ruppi una vetrata per vedere se c'erano altri soldi in una cassetta d'ufficio e nella fretta sudante mi tagliai pure la mano sinistra, ma dentro c'erano delle cambiali, lasciai tutto dov'era.
La richiusi e guardai nei cassetti del bancone principale scaraventandoli a terra, non avendo il tempo necessario per essere ordinato nello scassinamento. Poi io sono di natura disordinato, quindi in questo senso non avevo commesso alcuna irregolarità, ero nella norma, la coerenza al primo posto. Ero legale come Forza Italia. Fu una scelta provvidenziale, perché dentro vi trovai due sacchettini con tanti altri molti pezzi in moneta, mi pare intorno alle ottanta mila lire, complessivamente. In tutto raggranellai duecento mila lire circa, rompendo altri lucchetti che chiudevano altri scomparti, trovando però sempre piccole somme.
Ciao Roby
Tanto metallo in 
monete che ho barattato e via, veloce, tutto in vena. Mica i baristi lasciano grosse somme di danaro per me per farmi poi pere portentose, anche se non mi conoscevano e non sapevano che gli avrei fatto visita, come non lo sapevo neanch'io prima di quella sera. Mi faccio un "pò" schifo ora, ma non molto, perché non rubavo per arricchirmi, ma perché soffrivo le pene capitali e le saette divine. Dire che ero costretto a rubare mi pare eccessivo e assomiglia ad una scusante, quindi un'ulteriore aggravante, come ce ne fosse bisogno, però ci può anche stare a pensarci su. Un piccolo esempio per farmi capire. Provate voi con la febbre a 40 ad andare in giro in motorino alla ricerca dei danè, scovare la roba migliore, (visto i rischi che si corre, tanto vale rischiare con risultati eccellenti, o mi sbaglio?!), andare in farmacia dove certe volte non riuscivo neppure ad esprimermi per comprare il necessario e "farmi", f-i-n-a-l-m-e-n-t-e una pera che mi riportasse almeno ad un livello di calma piatta, il che denuncia la mia consapevolezza che entro 7 ore sarebbe stata la solita storia che ripartiva da come l'avevo lasciata.
L'era delle dipendenze: alcol, fumo, giochi azzardo, cocaina, ansiolitici, pc...


























Ma quando hai la roba,
non pensi, hai forza, sei un corsaro che non fa del male a nessuno, anche perché l'avevamo già fatto. Provate pure voi, voglio vedere se non fate salti che non avreste mai pensato di saper fare. Certo, ne sono sicuro, anzi certissimo, anche voi vi sareste prostituiti, avreste rubato o spacciato polvere tagliata male, i tre lavori principali dei tossicodipendenti della mia generazione estinta in pochi anni da un pezzo. Tutti giovani al di sotto dei 30 anni. Anzi, togliamo pure quel "", perché, pur essendomi messo a posto, mi fa orrore pensare come a 17 anni ci si può ridurre, anche se è 'na cosa che risale a 31 anni fa. Tutta moneta sonante, in pezzi da 100 o 200 lire, anche nel formato cartaceo che circolavano negli anni '80. Se mi pesavano, sarei ingrassato di almeno 10 chili. 

L'aria   che muove il mondo

Guadagnai
l’uscita e
l’aria diventò, passo dopo passo, sempre più ossigenata, meno rarefatta e spessa. Una liberazione, un proscioglimento d'ogni tipo d'ansia o terrore si presentava ad un disperato in cerca di redenzione per qualche oretta. Con i soldi nelle varie tasche del cappotto, già mi sembrava di stare meglio, ma era una menzogna psichica. Un’illusione, nell’illusione. Perché l'eroina  prende tutto e non dà nulla. E' una strada a senso unico e tu non ci pensi neanche a rimproveri. Quando sei nelle sue mani, non puoi dire la tua, mettere in discussione il meccanismo o il sistema. Non ce la fai da solo. E sono rari i casi dove qualcuno è uscito senza 'aiuto di un amico, parente chessia. 


Tutta   fuffa
e   panzane
Lì,   in  quelle condizione da carota, o stai male come un cane senza un fanale e ti "accontenti" (ma chi ce la fa), oppure ti spari un mezzo grammo alla barricadero, senza pietà e la banderillas lasciata lì appesa nella vena anche 5 minuti, per avvertire la sensazione del flash, la parte più intensa della pera, quella quando la polvere, "angelica", entra in contatto col mio sangue e quindi con tutte le mie terminazioni nervose. Il corpo
subiva certe alterazioni che sembrava "un corpo che cambia" come cantava l'eterno adolescentone Piero Pelù. Aveva sempre ragione lei. Vigliacca gradassa, ciarlatana e spaccona! Cialtrona l'ho detto? Eppur volevo solo lei, se ci fosse stata Uma Thurman li di fianco a me, non l'avrei neanche guardata. V'invito a pensare la ferocia di certe contraddizioni che eravamo costretti a vivere senza neppure saperlo. Sentivamo il disagio, ma chi sapeva capirlo, decifrarlo, razionalizzarlo?
Muscolo,
il Delinquente
Mi diressi da   Muscolo, un malavitoso che giocava d'azzardo, ma non era furbo. Non glielo avrei mai detto, figuriamoci, ma con uno così non ci sarei mai e poi mai uscito. Era fatto di un'altra stoffa. Portava degli stivaletti stranissimi, rossi, non so se di coccodrillo vero oppure di pelle finta. Talvolta erano fatti di jeans con il portasigarette. Un Tamarro d'antologia. Ma riuscite ad immaginarlo un tipo così? La punta in acciaio che lustrava sempre con dedizione e i tachi con le sue iniziali. Un vero tamarro d'antologia. Portava blue jeans attillati a vita alta, con stoffa strategicamente schiarita attorno alla cerniera a lasciar immaginare chissà quali pressioni interne. Era un delinquente Muscolo, di quelli veri, non come me, che i trovavo a casa chissà perché. Gestiva una casa dove si giocava d'azzardo e tutta la malavita di Forlì si riuniva ogni notte a puntare soldi male guadagnati. Io non sono mai entrato, aspettavo sempre fuori il mio amico Rodolfo, che era drogato d'eroina, anche se la tirava di naso e molto più d'azzardo. Muscolo era il classico tipo che gli piaceva menare un’esistenza criminale, dove la voce di chi urla più forte vale di più. Non parlava molto, proprio per darsi questa aria di bandito da quartiere, ma era uno che metteva paura davvero e girava con la pistola sempre in macchina. Chissà avrà avuto paura anche lui, pur sembrandomi un vero gangster. 

"Goditela e zitto! 
Anche    lui, all’epoca, spacciava per poi sputtanarsi tutti i soldi di notte a casa sua o in qualche altra bisca della città. In tutto erano 4 i punti di ritrovo. Quando giocava tirava coca, infatti non s'è mai visto un giocatore sputtanarsi milioni in eroina. La coca era la droga perfetta per l'azzardo. T'incitava lo spirito a puntare di più e portava addosso etti di oro fra catene e braccialetti, che nel mondo dei tossici significavano espressamente denaro e potere e solo per questo bisognava portare rispetto. Aveva la bianca migliore che si trovasse in circolazione, va detto, e per questo vendeva una trentina di grammi al giorno e forse più. Suonai per spiegargli la vicenda del bar all’ospizio. Si mise a ridere nello stile del malavitoso, forte e chiaro. Un malvivente non s'intenerisce mai, anche quando vanno a rubare al bar dei vecchietti all'ospizio, semmai si fa una crassa risata, com'è appunto accaduto. Poi si guardò attorno in silenzio. Si accese una Marlboro e infilando l’anello d’oro grosso come una noce nel dito medio mi disse mentre mi stava riempiendo la busta: “Ma tu Matteo, come sei messo? Non spacci neanche un grammo di roba e hai sempre i soldi per comprartela. Devi rubare un casino?!”. Era una maniera per indagare da dove venissero i miei guadagni, un modo anche per intimorirmi e nel mestiere del malavitoso quello di incutere timore è uno dei punti chiave per riscuotere rispetto, anche se quel tono e quella curiosità morbosa da criminale metteva paura veramente, ma guai a farlo vedere.
Il tocco sapiente,
rozzo e vellutato
del        pusher
Io parlavo,  rispondevo, ma non ero alla sua altezza anche se io ero molto più alto di quel mafioso. Mi dice di stare tranquillo che non gliene frega un cazzo dei fatti miei, e che era così tanto per sapere, niente di più. In effetti non ho mai spacciato molto, non ero capace, mentre a rubare ero un signore, una specie di Arsenio Lupin sempre da solo, mai in compagnia. Organizzavo ed eseguivo, facevo tutto io. Ma era come se non fossi presente. La mia attenzione era tutta rivolta a quel sacchettino che Muscolo mi stava porgendo, mezz'etto di roba almeno. Intanto lo gratificavo, povero sciocco ch'ero, l’omaggiavo di lusinghe, per poi scodinzolargli attorno senza dignità, come fanno i cani quando rivedono il padrone di ritorno. In realtà non mi fregava un cazzo di Muscolo, un ceffo che non gli avrei prestato neanche il motorino, non avendo ancora l'età per la patente. Però lui aveva sempre la roba, per giunta la migliore in piazza a Forlì e pochi potevano andare direttamente a casa sua a tutte le ore, difficilmente poi uno sotto i ventanni godeva di questi "privilegi", e io non volevo certo giocarmeli. Voi non sapete cosa vuol dire ad avere a disposizione un pusher a tutte le ore, lo aiutava in questo anche suo figlio di 15 anni. Era una sicurezza. Io non chiedevo nulla riguardo a questi favoritismi, lo facevo solo per accattivarmelo e sperare in un suo momento di generosità mentre mi versava due grammi di polvere nella stagnola: “Dai Muscolo... un’altro caccolo, dammi un’altro caccolo” e lui stizzito e carognesco: “Che rompicoglioni che sei, Matteo!!! Non posso, non rientro coi soldi, non ci sto dentro. Poi il tipo se la prende con me e io che faccio vengo da te a chiederteli? Dai, fa il bravo e prendi qua. Anzi, ritieniti fortunato, che roba come questa in giro non ce n’è. Va casa e sparatela in vena. Goditela in silenzio”. Così feci. Stavo troppo male per discutere. Arraffai i due grammi e scappai in fretta e furia per imbottirmi il sangue dell’insano sollievo.


È la peggiore sensazione del mondo farsi la morfina da ubriachi, perché sulla fronte si aggroviglia come un macigno e provoca un gran male nella lotta per il dominio in quell'unico terreno ma non vince nessuno perché si sono annullati l'un l'altro, l'alcool e l'alcaloide
                                        Jack Kerouac, Tristessa














 Coll asso 

"Saliente"

Ho sempre detestato le cure termali di Castrocaro a cui mi sottoponevano i miei amorevoli genitori quand’ero bambino ad ogni fine estate verso settembre. Come non sopportavo i complimenti della gente che mi diceva, in dialetto romagnolo, che ero proprio un bel babì. Scemenze del genere mi procuravano l’orticaria ai coglioni, all’epoca, pistolino o palline glabre. Come trovavo orribile posare in fotografia in spiaggia per quei ricordi di gruppo parentali oppure amicali. Per farle dovevo fare il cretino. Quindi assumevo pose assurde, per stemperare il momento di vanità adulta e mostrare, uomo o donna, le proprie vanità. Lasciar perdere sarebbe stata la soluzione migliore, ma a dieci anni o poco più non sei padrone di te stesso. Ero un ribelle, come Freak Antoni, uno sbarbo pronto per il “grande” lancio. E infatti quei giorni arrivarono senza che me ne accorgessi. Ora non voglio tediarvi spiegandovi perché mi sono bucato. Io i motivi li conosco molto bene, ma diventerebbe lagnoso. Quindi salto a piè pari e via andare. Entrai nel mondo dell’insulina. Non la dimenticai per un bel po’ d’anni. Dimenticare la siringa, il cucchiaino, l’eroina, quel fottutissimo giuoco col proprio cervello, i nostri spiriti, le corde dell’anima era impresa ardita se non impossibile. Perché non esiste ripresa quando ti fai. E’ un continuo accumulare miserie su miserie senza badare a nulla se non a procurarsi la regina delle polveri.

Governa      impetuosa
Così le miserie si accumulano una dietro l’altra e la vita diventa, giorno dopo giorno, sempre più insostenibile. Con Luca, nella sua Renault 5, mi praticai una violenta pera che mi telefonò selvaggiamente il suo devastante arrivo. Era bianca, con un principio attivo eccellente, forse un 20% di purezza, il resto tutto taglio. Preparammo il necessario: due “spade”, il cucchiaio, il limone per scioglierla e la roba tutta. Ci trovavamo in una via centrale di Forlì e immediatamente dopo la pera iniziai a non sentire più corpo e decisi di dirlo: “Luca, accosta con la macchina, sto male, portami al pronto soccorso”.
Me n’ero
fatta troppa
e forse era davvero molto buona, ora non ricordo essendo passati più di 30 anni e non ero in condizioni di memorizzare nulla. Un'alterazione che da gradevole stava diventando insidiosamente mortificazione. Tutto in un minuto neanche. Carico di torpore gelatinoso dell’anima, colsi il mio allibratore. Del resto ogni pera era una scommessa. Chi mi diceva che in mezzo a quella polvere non ci fossero porcherie micidiali? Era un pianeta gonfio d'insidie e calamità umane. Eccessivo e troppo potente per un 17ennne. Del resto, l’eroina, quando entra nel sangue, non vuol saper storie. Spingi giù lo stantuffo e lei parte dall’ago per andare dritta in una vena pulsante e lì fa la padrona. Governa impetuosa. Il sangue diventa il suo deposito naturale e lei ci si smolecola dentro come un gatto si rotolerebbe su un sofà con la Ferilli.
La Banderillas, nel gergo dei tossici della mia generazione '75-'83,
era sinonimo di siringa appesa ciondolante al braccio per aumentare il flash














Troia,      bocchinara, puttana,
eppur      così dolce
La siringa mi  pendeva dalla vena come fanno le banderillas dalla schiena di un toro colpito a morte. Ero già riverso sul cruscotto, sulla soglia della perdita dei sensi. Poi appoggiai la testa, divenuta macigno, al finestrino della macchina, per lasciarmi irrompere da quel fiume d’acqua caldo che sbordava da tutti gli argini della mia esistenza sensoriale. In gola avvertivo il solito sapore chimico misto ad un senso di arrendevolezza generale. La testa divenne subito leggera e i pensieri erano a rincorrersi non so dove, depositati in un angolo della mente. Fuori della vettura pioveva forte. Sporca, lurida, puttana eroina. Troppo dolce, troppo affascinante. Il mio amico accostò con la macchina e mi prese sulle sue spalle. Un gesto eroico, a pensarci bene.
Situazione non nuova













Carico
di stupore nelle vene
Mi portò in giro a penzoloni in una zona centrale di Forlì, cercando di ricongiungermi con la realtà quotidiana. “Dai... Matteo, non mollare! Riprenditi, o ti lascio davvero di fronte al Pronto soccorso”. Ovviamente mi avrebbe sbattuto per terra di fronte all’ingresso, perché come ogni tossico, anche Luca, non ne voleva sapere di aver a che brigare con la polizia. Nel ricordo che ho di allora ero uno straccio privo di forze organiche e carico di sballo nelle vene e nel corpo ormai privo di sensi. Non riuscivo a parlare. Ero in bilico tra tutto, sconvolto fino al punto di non saper spiegare nulla a nessuno. Credo di essere stato ai limiti del consentito da chi ha tracciato i confini dell’infinito, in una zona dove il dovere di vivere è dettato da un refolo di vento quasi impercettibile. Il fatto è che ero lucido, ricordo molto bene la faccia sballata ma preoccupata di Luca. Me ne stavo accorgendo di quanto stavo andando in là, perché la forza della roba saliva sempre di più e io non riuscivo a fermarla quest’onda impetuosa e priva di compassione.
La luce del giorno
confondeva con una dimensione dove tutto era evanescente, come in una stagione torbida o un treno in corsa senza rotaie. Non so cosa mi stesse accadendo. Come un elastico tirato al limite della sopportazione. Poi chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulla spalla di Luca. Questo però me lo disse Luca, in quanto io non ero più presente alla scena quotidiana. Il tempo passò. Il mio amico era più intossicato di me, per questo sentiva di meno lo sballo e per questo motivo non collassò. Ci facemmo a dosi pari, venti righe d’insulina di liquido trasparente a testa, che equivalgono a circa 100 mila lire di flash. Per lui bastò. Per me fu troppa. Non so quanto girammo a piedi, sorretto da Luca che non mi abbandonò come un pacco dono di fronte al Pronto soccorso. Grazie al cielo non ce ne fu bisogno, ma per pochissimo. Se uno ricorda le persone con cui ha vissuto momenti di tensione e tenerezza come questo, impazzisce. Scusami se urlo, ma guarda bene come tremo, tremo perché ho un alibi. E questo non tradisce!